Come noto la “frode fiscale” riconducibile all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, è un sistema di evasione fiscale attuata per ottenere vantaggi disapprovati dall’ordinamento giuridico quali, ad esempio:
conseguire un’indebita detrazione di Iva in capo all’acquirente finale del bene o del servizio;
contabilizzare un costo indeducibile dal reddito d’impresa; creare una provvista di liquidità in capo all’utilizzatore della fattura falsa, nella particolare ipotesi di prelevamenti di contante tratti dai conti correnti intestati al “fasullo” cedente o prestatore, successivamente al bonifico effettuato a saldo dei documenti inesistenti.
Il meccanismo fraudolento va valutato sotto un triplice profilo sanzionatorio, in base alle disposizioni previste: dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, che dispone la reclusione da quattro a otto anni per chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi che consentono di ridurre la base imponibile o il debito Iva; dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, che prevede la reclusione da quattro a otto anni per chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; dall’articolo 648-bis c.p. (riciclaggio) il quale prevede che, fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000; dall’articolo 648-1 c.p. (autoriciclaggio), che applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 nei confronti di chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
A titolo meramente esemplificativo, nell’ambito della condotta delittuosa può avvenire che:
la società Alfa S.r.l. (cartiera) emette una fattura per operazioni inesistenti nei confronti di Beta S.r.l., (utilizzatore della fattura), per complessivi 10.000 euro;
la società Beta S.r.l. bonifica l’importo indicato in fattura sul conto corrente intestato a Alfa S.r.l., per complessivi 10.000 euro, a saldo della transazione;
successivamente al bonifico, il soggetto che ha utilizzato le fatture false riceve, per contanti, le somme prelevate per contanti tratte dai conti correnti intestati a Alfa S.r.l.; la società Beta S.r.l. impiega il denaro “monetizzato” in attività economiche, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa della liquidità.
Proprio in tema di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e, contestualmente, riguardo alla rilevanza del reato di autoriciclaggio nell’ambito della frode carosello, si segnala il recente orientamento espresso dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 6397/2020 del 18.02.2020.
Gli Ermellini hanno tracciato importanti principi di diritto, così riassumibili:
in tema di autoriciclaggio, le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei beni di provenienza delittuosa, compiute dall’autore del reato presupposto, assumono rilevanza penale, ai sensi del nuovo articolo 648-ter.1, solo se poste in essere “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, e solo se in grado di ostacolare la provenienza delittuosa dei beni stessi: requisito, quest’ultimo, che rispetto al riciclaggio presenta connotazioni rafforzate dall’avverbio “concretamente”;
l’ipotesi di non punibilità prevista dall’articolo 648-ter.1, comma 4, c.p. è integrata soltanto nel caso in cui l’agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Ciò posto, la frode carosello attuata mediante l’emissione e/o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti può anche integrare il delitto di autoriciclaggio.
Infatti, nel caso esaminato dai giudici di piazza Cavour, il provento della frode fiscale realizzata dall’imputato in favore di terzi, attraverso la creazione di società filtro cartiere che si sono interposte con operazioni fittizie per consentire l’emissione di false fatture, è stato trasferito attraverso bonifici ad una ditta olandese attiva nel settore della vendita dei fiori, simulando operazioni commerciali, con causali fittizie.
Il soggetto olandese ha restituito al cessionario gli importi in contante, così portando a compimento un’operazione che, mediante il trasferimento dei proventi illeciti in attività economiche, è all’evidenza diretta a “ripulire” il denaro in questione.
Infatti, la circostanza che le operazioni commerciali cui erano destinati i bonifici fossero simulate e non effettive, non inficia la gravità indiziaria ma anzi è la conferma del carattere illecito dell’operazione, in quanto la fattispecie prevista in caso di autoriciclaggio ha lo scopo di impedire qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale, finanziario ovvero imprenditoriale, al fine di ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel “quid pluris” che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile).