In caso di versamenti effettuati in conto capitale le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori siano stati soddisfatti, versandosi altrimenti nel reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. Viceversa, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.
La Corte di Cassazione, Sezione Penale, ha chiarito alcuni rilevanti profili applicativi in tema di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Il caso di bancarotta fraudolenta all’attenzione dei giudici
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale, aveva rideterminato la pena inflitta all’imputata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, rimodulando anche le pene accessorie previste dall’ultimo comma dell’art. 216 Legge fallimentare nella durata di 5 anni, per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, avente ad oggetto la somma di 75.000 euro, incassate dalla stessa, dalla società dichiarata fallita (della quale l’imputata era stata legale rappresentate), a titolo di rimborso anticipazioni amministratore.
L’imputata proponeva quindi ricorso avverso la sentenza, deducendo un unico motivo con cui eccepiva la mancata riqualificazione della condotta di reato in bancarotta preferenziale, avendo ella incassato le somme in contestazione per soddisfare parzialmente un proprio credito certo, liquido ed esigibile verso la società.
La Corte d’Appello, cui era stato proposto analogo motivo di impugnazione, aveva peraltro condiviso l’impostazione difensiva sulla doppia veste di amministratrice della fallita e, parallelamente, di sua creditrice, visti i versamenti di somme di danaro da lei effettuati sul conto postale della società per il pagamento di debiti sociali (rate di debiti tributari; compensi professionali ed altre spese della società fallita).
Ma, ciononostante, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che la qualità di creditrice dell’imputata dovesse essere minusvalente rispetto alla responsabilità di amministratore, che, a loro avviso, dava luogo, sempre e comunque, alla configurazione del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva.
La tesi della ricorrente, invece, era che si doveva comunque verificare se i crediti vantati dall’amministratore della fallita derivassero da mutuo, oppure da versamenti in conto capitale, laddove, nel primo caso, per il rimborso dei finanziamenti a suo favore, l’amministratore avrebbe dovuto rispondere di bancarotta preferenziale e non distrattiva.
Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.
Evidenziano i giudici di legittimità che la giurisprudenza della Cassazione ha tracciato linee ben definite per distinguere i casi nei quali deve ritenersi configurabile il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, ovvero quello di bancarotta fraudolenta preferenziale.
La bancarotta fraudolenta distrattiva di amministratori o soci In un’ottica di sintesi, possono dunque a tal proposito essere individuate tre direttrici, corrispondenti a tre distinte, principali fattispecie, con una comune ratio di discrimine: gli amministratori o i soci risponderanno di bancarotta distrattiva o di bancarotta preferenziale a seconda della ragione creditoria soddisfatta attraverso il prelievo di somme durante la fase di dissesto della fallita.
Pertanto:
1. il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti in conto capitale, operati dai soci in favore della società poi fallita, integra la fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione, poiché tali versamenti non danno luogo ad un credito liquido ed esigibile nel corso della vita della società e, nei loro riguardi, opera il criterio di postergazione previsto dall’art. 2467 cod. civ. (cfr., Cass., n. 25773 del 20/2/2019; Cass., n. 50188 del 10/5/17; Cass., n. 41143 del 20/05/2014; Cass., n. 34505 del 06/06/2014; Cass., n. 42710 del 03/07/2012; Cass., n. 25292 del 30/05/2012). Vero è, rileva la Corte, che nelle pronunce più tradizionali, che, tuttavia trovano eco ancora recenti (cfr. Cass., Sentenza n. 50495 del 14/06/2018), la qualificazione giuridica come condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva delle restituzioni che l’amministratore liquidi in favore di sé stesso nel periodo di dissesto ruota intorno all’elemento soggettivo del reato piuttosto che alla natura del credito, ma ciò non smentisce comunque la conclusione sopra evidenziata;
2. il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo o prestito integra la fattispecie di bancarotta preferenziale: in tal caso, infatti, i finanziamenti, non avendo «natura di conferimenti di capitale di rischio», «rappresentano il sorgere di un effettivo ed esigibile credito (chirografario) in capo ai soci, senza che da ciò consegua effettivo depauperamento dell’asse patrimoniale» (Cassazione, n. 14908 del 7/3/2008; Cass., n. 13318 del 14/2/2013; Cass., n. 8431 del 1/2/2019; e più recentemente Cass., n. 19354 del 2021, Cass., n. 13062 del 2021, e Cass., 11399 del 18/1/2021);
3. il prelievo di somme da parte dell’amministratore, a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore della società poi fallita durante il periodo di dissesto, integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore, qualora, anche per l’assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, i prelievi di somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto non siano definiti nella loro congruità e non siano fondati su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata ed oggettiva valutazione (cfr., Cassazione, n. 17792 del 23/2/2017; Cass., n. 49509 del 19/07/2017; Cass., n. 27132 del 13/8/2020).
Venendo dunque al caso di specie, la Corte di Cassazione evidenzia che il versamento del cui rimborso l’imputata era accusata, configurato come delitto di bancarotta distrattiva, era stato corrisposto a titolo di prestito e, dunque, avrebbe dovuto essere inquadrato, più correttamente, quale delitto di bancarotta preferenziale, previa verifica della natura del conferimento.
La Corte d’Appello, dal canto suo, non si era occupata di esaminare la natura del versamento corrisposto dalla ricorrente alla società, ma aveva ritenuto di aderire all’orientamento che, a suo dire, nell’ipotesi di prelievi da parte del socio o dell’amministratore che sia anche creditore della fallita, professava in ogni caso la configurabilità del delitto di bancarotta distrattiva.
Tale orientamento, però, afferma la Suprema Corte, non poteva in realtà ritenersi (almeno attualmente) esistente, dovendosi sempre valutare la natura del credito vantato. Conclude dunque la Corte, rilevando che, in caso di versamenti effettuati in conto capitale, le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere quindi restituite solo quando tutti gli altri creditori siano stati soddisfatti, versandosi altrimenti nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
La restituzione dei versamenti soci: attenzione ai reati fallimentari Viceversa, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale. L’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate, infatti, in generale, può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili denominazioni), versamento, quest’ultimo, che non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali (cfr., Cassazione, n. 24861 del 09/12/2015).
E stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti (Cassazione, n. 7692 del 31/03/2006), laddove la comune intenzione delle parti va desunta, in via principale, dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui appare diretto e dagl’interessi allo stesso sottesi, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, la cui portata può comunque risultare determinante in mancanza di una chiara manifestazione di volontà negoziale (Cassazione, n. 15035 del 08/06/2018).