I rischi di chi emette un assegno e sul conto non ha i soldi per pagarlo.
Che rischia chi stacca l’assegno e poi svuota il conto? Come noto, l’assegno bancario, al contrario di quello circolare, non offre la certezza di una copertura dell’importo in esso indicato: sicché ben potrebbe avvenire che una persona, nonostante l’emissione dell’assegno, non abbia sufficienti soldi sul conto per pagarlo.
Tuttavia, chi emette un assegno a vuoto non solo viene protestato e, a seguito di ciò, può subire un pignoramento immediato (senza neanche bisogno di una previa causa) ma viene anche segnalato nella Centrale Rischi e alla Crif, non potendo più emettere assegni e subendo una serie di penalizzazioni sul fronte bancario.
L’emissione di un assegno a vuoto, se non accompagnata da altri comportamenti, integra un semplice illecito civile e amministrativo: sul primo versante, come visto, si rischia l’azione esecutiva del creditore; sul secondo invece si subiscono le sanzioni da parte della Prefettura.
Diversa è la situazione di chi è effettivamente solvibile nel momento in cui emette l’assegno – perché il conto ne consente il pagamento – ma non lo è più poco dopo.
La domanda che si pone in questa ipotesi è dunque la seguente: che rischia chi stacca l’assegno e poi svuota il conto? La questione è stata sottoposta di recente alla Cassazione [1].
Secondo i giudici emettere un assegno già sapendo che, subito dopo, si sarebbe svuotato il conto per impedire alla banca di pagare il titolo integra il reato di truffa. Ipotizziamo il caso di una vendita: chi mostra al venditore la quasi totalità della capienza del proprio conto su cui è tratto l’assegno in relazione all’importo della vendita per poi «svuotare quello stesso conto con prelievi bancomat, prima dell’incasso dell’assegno» commette una truffa. Elemento essenziale del reato di truffa è l’artificio o il raggiro ai danni della vittima.
E queste condotte sono ben evidenti in questa articolata messinscena.
Diversa è invece l’ipotesi in cui il soggetto debitore, dopo aver staccato l’assegno, debba far fronte a un ulteriore pagamento, imprevisto ed urgente (ad esempio una spesa medica).
In tal caso, dovendo attingere i soldi dal proprio conto in un momento successivo all’emissione dell’assegno ma non avendo potuto preventivare ciò sin dall’inizio, non gli è addebitabile alcuna malizia nei confronti del creditore: mancano cioè gli artifici e i raggiri o, in poche parole, la malafede. Malafede che è essenziale per poter parlare di truffa.
In questo secondo caso, quindi, non c’è alcun reato, ma un semplice illecito civile: l’inadempimento, per il quale, come già detto in apertura, scatta la possibilità di un pignoramento, il protesto e la segnalazione alle banche dati dei cattivi pagatori.
Ultima ipotesi, ma anche in questo caso si rientra nel penale, è quella di chi stacca un assegno già sapendo che il conto è vuoto senza informare di ciò il prenditore del titolo, ma rassicurandolo delle sue capacità economiche.
In ipotesi di questo tipo si rischia una condanna per insolvenza fraudolenta, più lieve rispetto a quella per truffa.
Qui, a differenza della truffa, non c’è alcun artificio e raggiro, se non la semplice reticenza.
A differenza invece dell’inadempimento contrattuale, c’è comunque una condotta attiva, rivolta ad approfittarsi della situazione, ragion per cui si rientra nel penale.