Contatti Iscriviti alla Newsletter
Chiudi
Studio Coppola & Partners
Studio Coppola & Partners

Società di comodo: l’oggettiva impossibilità a svolgere l’attività

Accertamento su reddito di società di comodo: il caso dell’inizio attività L’Agenzia delle Entrate, in seguito ad accertamento compiuto ai sensi dell’art. 30, comma 4, legge 23 dicembre 1994, n. 724, per le società non operative, ha notificato ad una s.r.l. avviso di accertamento, con il quale ha rettificato il reddito dichiarato per l’anno 2006.

Impugnato il predetto atto dalla contribuente, la C.T.P. di Terni ha accolto il ricorso; sentenza riformata dalla C.T.R. per l’Umbria, adita dall’Ufficio.

Contro la predetta sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, fra l’altro, che la C.T.R. abbia affermato che il termine «verosimile» attribuito dai giudici di primo grado alle dedotte difficoltà incontrate nel 2006 dalla società (ossia la sperimentazione, in quell’anno, di un nuovo metodo di estrazione delle olive), non fosse idoneo a sorreggere adeguatamente la decisione favorevole e ritenuto che la documentazione prodotta non fosse sufficiente a dimostrare la reale situazione in cui versava la società.

Al riguardo la contribuente: “premesso che l’accertamento era stato svolto a tavolino sulla base di meri calcoli contabili indipendenti dalla reale situazione di fatto e che essa aveva provato documentalmente la mancata considerazione, da parte dell’Ufficio, di elementi dimostrativi della situazione non standard della società, ossia il fatto che l’attività non fosse a regime in ragione della profonda modifica subita dal processo produttivo per l’avvio di una nuova tecnologia di spremitura con relativi investimenti, parte dei quali finanziati con fondi europei in attuazione del piano di sviluppo agricolo regionale, ha stigmatizzato il giudizio della C.T.R. in quanto non aveva valutato che il collaudo relativo al piano di sviluppo rurale, attestante la sola acquisizione dei beni strumentali oggetto del contributo e non la loro entrata in funzione, fosse stato effettuato nel mese di maggio 2006, che tale sistema innovativo avesse richiesto continui test e adattamenti dell’impianto e che l’autorizzazione comunale per la realizzazione di alcuni lavori (tra cui la posa in opera di una vasca per il trattamento delle acque reflue e la realizzazione di un muro di recinzione) fosse intervenuta solo nel 2007, a dimostrazione della eccezionalità della situazione nel 2006”.

Il pensiero della Cassazione: presunzione e interpello Secondo la Cassazione, l’art. 30, legge n. 724 del 1994, al fine di «disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto cosiddette società senza impresa, o di mero godimento, dunque “di comodo”» (Cassazione, Sez. 5, 21/10/2015, n. 21358; Cass., Sez. 6-5, 28/9/2017, n. 26728), prevede, al comma 1, una presunzione legale relativa, fondata sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cassazione Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione), in base alla quale una società si considera «non operativa» se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cd. «test di operatività dei ricavi»), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci.

A fronte di tale presunzione, è concessa al contribuente la facoltà di richiedere, mediante presentazione di istanza di interpello ai sensi del successivo comma 4-bis (inserito dall’art. 35, comma 15, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), la disapplicazione delle “disposizioni antielusive” o di fornire la prova contraria allorquando sussistano situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1 o non abbiano consentito di effettuare operazioni rilevanti ai fini Iva, ciò al fine di rispondere all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cassazione, Sez. 5, 20/4/2018, n. 9852; Cass., Sez. 5, 30/12/2019, n. 34642).

La facoltà, concessa al contribuente, di ottenere la disapplicazione della suddetta disciplina attraverso il meccanismo dell’interpello disapplicativo ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (peraltro abrogato dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, ma comunque tuttora sussistente in virtù dell’art. 10-bis, legge 27 luglio 2000, n. 212), ovvero di accedere alla prova contraria sia in sede amministrativa che processuale, possibile peraltro anche in seguito alle modifiche apportate all’art. 30 della Legge n. 724 del 1994 dalla I. n. 296 del 2006 (sul punto, Cassazione, Sez. 5, 24/02/2021, n. 4946), “è del resto espressione degli stessi principi formulati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04), allorché ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cassazione, Sez. 5, 20/06/2018, n. 16204)”.

Pertanto: “a fronte della triplice presunzione legale relativa contemplata dal ridetto art. 30, che fa derivare dall’accertamento dell’esistenza degli elementi patrimoniali indicati nel primo comma dell’art. 30 il fatto ignoto dell’inoperatività della società, quanto alla prima, che correla all’inoperatività l’impiego elusivo dello schema societario per la gestione di patrimoni, quanto alla seconda, e che fa scaturire dall’inoperatività la percezione di un reddito minimo, quanto alla terza, il contribuente ha la facoltà di superare la prima dimostrando l’insussistenza di elementi patrimoniali valorizzati dall’Amministrazione finanziaria ai fini del test di operatività o la sussistenza di un’effettiva attività imprenditoriale, e la seconda attraverso la prova di una situazione oggettiva e non imputabile all’interessato che giustifichi la scarsità dei ricavi e del reddito (sul punto, Cass., Sez. 5, 24/02/2021, n. 4946, cit.)”.

A quest’ultimo riguardo, questa Corte ha già avuto modo di osservare come l’impossibilità dell’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui al ridetto art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario, debba essere intesa non in termini assoluti, bensì economici, in quanto aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cassazione, Sez. 5, 20/06/2018 , n. 16204), ed elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta (Cassazione, Sez. 5, 03/11/2020, n. 24314).

Il problema dell’avvio dell’attività d’impresa

Orbene, nella specie, le contestazioni sollevate dal contribuente vertono sul dedotto avvenuto superamento della presunzione legale per il tramite di una serie di elementi, sostanzialmente ricondotti all’«avvio», nell’anno di imposta 2006, «di una nuova tecnologia di spremitura con relativi investimenti in parte finanziati con fondi europei a cura della Regione umbra», all’avvenuto collaudo del Piano di sviluppo rurale 2000/2007 della Regione umbra nel mese di maggio 2006, alla necessità di sottoporre il nuovo sistema produttivo a continui test e adattamenti dell’impianto e, infine, al rilascio soltanto nel 2007 dell’autorizzazione comunale per la posa in opera della vasca per il trattamento delle acque reflue del processo produttivo e di un muro di recinzione dell’azienda, asseritamente non esaminati dalla C.T.R. Sul punto, la Corte però ricorda che: “dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 dei d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cassazione, Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia”.

Ciò comporta che il ricorrente debba indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, “fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Orbene, la necessità che il vizio debba attenere ad un “fatto storico” esclude in sé l’ammissibilità del rilievo sollevato, non potendosi considerare tale la questione relativa all’applicabilità, all’anno di imposta 2006, dell’indice dello 0,9 per cento introdotto dall’art. 1, comma 128, lett. 2), legge 24 dicembre 2007, n. 244, per i Comuni con meno di mille abitanti.

Quanto alle ulteriori doglianze espresse, la Corte osserva: “come la C.T.R. abbia dato conto di alcuni degli elementi dedotti al fine di superare la presunzione legale di non operatività della società, sia quanto alla innovatività dell’impianto, ritenuta non provata, sia alla data del suo funzionamento, asseritamente rimasta incerta, sia all’approvazione, da parte della Regione, dello stato finale degli investimenti, reputata non decisiva, né rilevante in quanto non costituente un collaudo, mentre, pur non avendo esaminato l’incidenza dei restanti elementi, quelli relativi alle autorizzazioni amministrative rilasciate per lavori edili soltanto nel 2007, il ricorso pecca di specificità, non essendo stato evidenziato né il momento in cui la relativa domanda era stata avanzata dal contribuente all’ente, né la decisività ai fini dell’asserito stallo dell’attività”.

“le doglianze proposte si risolvano in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cassazione, Sez. U., 25/10/2013, n. 24148)”. Alcune note sulla giurisprudenza in tema di società di comodo

Il meccanismo di determinazione del reddito delle cd. società di comodo – art.30, della L.n.724/1994, come modificato dall’articolo 7, del D.Lgs.n.156/2015 – cioè di quelle società che non svolgono, sostanzialmente, un’attività d’impresa, basato su presunzioni è superabile con prova contraria, a carico del contribuente, in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli altri elementi rilevanti per la determinazione del reddito imponibile.

Per la Corte di Cassazione, sentenza n. 24314 del 3 novembre 2020: “l’impossibilità per l’impresa di conseguire il reddito minimo secondo il meccanismo di determinazione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, per situazioni oggettive di carattere straordinario, deve essere intesa non in termini assoluti, bensì elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta”.

Di particolare interesse è l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14750 del 27 maggio 2021. Scrivono i massimi giudici che viene lasciata al contribuente la possibilità di fornire la prova contraria, prova che va verificata in sede giudiziale.

L’esistenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito… “deve essere, dunque, provata dal contribuente, purché tali situazioni oggettive siano specifiche e, soprattutto, indipendenti dalla sua volontà (Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21358).

In un caso, è stata annullata la decisione di merito, contraria alla contribuente, che aveva omesso ogni considerazione sulla crisi del settore automobilistico quale elemento determinante della scelta aziendale di riconversione della produzione nel settore dei pannelli solari (Cass., sez. 6-5, 12 febbraio 2019, n. 4019)”.

Tra le oggettive situazioni possono rientrare i casi in cui non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642 in motivazione), pur essendo state tempestivamente richieste, oppure nel caso in cui venga svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica all’esercizio di un’altra attività produttiva, sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per sé la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi (in tal senso vedi circolare dell’Agenzia delle entrate del 2 febbraio 2007 n. 5/E).

Le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento della soglia dei ricavi e degli altri elementi positivi di reddito non sussistono in caso di carenze “pianificatorie” aziendali o di scelte ed iniziative imprenditoriali libere, come in ipotesi di cessione dei beni aziendali in comodato d’uso gratuito (Cass. sez. 5, 7 dicembre 2020, n. 27976).

È necessario, per esempio, in caso di inoperatività dipesa dalla mancata costruzione dell’immobile da utilizzare per lo svolgimento dell’attività, la prova che il ritardo sia stato determinato da ragioni estranee al contribuente e non riconducibili alla sua volontà (Cassazione, sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642).

Per gli Ermellini: “anche il mero incremento del patrimonio, come l’acquisizione di un capannone, è di per sé irrilevante, in quanto il test di operatività e la presunzione di inoperatività agiscono su un diverso piano del reddito, nei termini della comparazione tra i ricavi effettivi del conto economico e i ricavi figurativi proiettati dagli assets”.

Pertanto, un’operazione “isolatamente” patrimoniale non esprime redditività societaria e, quindi, non confuta la natura fittizia dell’ente, potendo anzi darne la più limpida dimostrazione (Cass., sez. 5, 10 marzo 2017, n. 6195).

Nel caso di specie: “il giudice d’appello ha ritenuto sussistente la situazione oggettiva di impossibilità a raggiungere le soglie del test di operatività, di cui all’art. 30, comma 4-bis, della legge 724 del 1994, in quanto i modesti ricavi dell’anno 2006, pari ad € 4.294,00, trovavano giustificazione nella scarsa produttività del periodo, determinata dal sopraggiunto fallimento della società produttrice del tunnel di sterilizzazione, ritenuto fondamentale per la specifica tipologia di attività svolta dalla contribuente, che avrebbe dovuto produrre alimenti a lunga conservazione senza conservanti, non surgelati, bensì semplicemente sterilizzati e conservabili a temperatura ambiente. Era, dunque necessario l’impiego dell’innovativa tecnologia di sterilizzazione a microonde.

Una volta dichiarato il fallimento della società produttrice del tunnel di sterilizzazione, non essendo più possibile eliminare i vizi riscontrati nello stesso, la società ha deciso di procedere alla sterilizzazione con autoclave a vapore.

Pertanto, secondo il giudice d’appello, le materie prime acquistate nel 2006 erano state integralmente adoperate per le indispensabili prove di produzione (ricette) e per la successiva sterilizzazione, mentre il modesto volume d’affari dichiarato sia per l’anno 2006 che per l’anno 2007 (in questo anno per € 4.043,00) era ascrivibile alle fatturazioni di campionature di prodotto non pagate da potenziali clienti a causa della scadente sterilizzazione della produzione e del rapido deterioramento della stessa”.

Così, il giudice d’appello: “ha dato atto della sussistenza proprio di quelle situazioni oggettive di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento delle soglie indicate nel testo di operatività, non riconducibili alla volontà della società contribuente ed a scelte imprenditoriali errate della governance della società”.

Per la Corte, non v’è dubbio, peraltro, che: “il fallimento della società produttrice dello strumento indispensabile per la produttività della contribuente (il tunnel di sterilizzazione) abbia costituito una oggettiva situazione di carattere straordinario, tale da impingere sulla produttività della società in modo rilevante e determinante, sì da non consentire il raggiungimento delle soglie previste nei test di operatività, in assenza di colpa della contribuente.

Il sostanziale mancato avvio della produzione non è, dunque, riconducibile a erronee strategie imprenditoriali della contribuente.

Il giudice d’appello ha preso in esame fatti specifici costituenti oggettive situazioni di impossibilità di raggiungimento dei limiti quantitativi previsti dal test di operatività; in particolare, ha preso atto del mancato funzionamento del tunnel di sterilizzazione a microonde, quale impianto fondamentale per lo stabilimento, fin dalla data della sua consegna alla società contribuente; delle inadempienze contrattuali della società produttrice, dichiarata fallita nell’anno 2004; dei tentativi esperiti di ricorrere ad un metodo alternativo e artigianale di produttività, consistente nell’utilizzo di autoclave per la sterilizzazione delle vaschette; della persistente inattività della contribuente alla data del 3 marzo 2006” ….., nonostante la necessitata modifica dei piani industriali, con impegno all’effettuazione di indispensabili prove di produzione alla data del 19 ottobre 2006.

Resta fermo che vanno distribuiti in maniera corretta gli oneri probatori fra l’Ufficio e il contribuente perché, di fronte al mancato superamento del test di operatività da parte della società, nel pretendere correttamente la sussistenza di una situazione oggettiva, che abbia reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito richiesto dalla legge, occorre dare conto in maniera esaustiva e completa della sussistenza di questa situazione di oggettività, analizzando la situazione patrimoniale e produttiva della società nel suo complesso, non trascurando l’effettiva presenza di apparati produttivi che avrebbero potuto permettere di superare il test operatività (ord. Cassazione n. 25537 del 21 settembre 2021).

< Torna alla homepage