Concordato in continuità aziendale e attuale crisi sanitaria
L’articolo 186 bis L.F., come noto, prevede che possa essere presentato anche un piano di concordato preventivo che preveda la continuazione dell’attività attraverso la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.
Anche il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) offre ampio spazio a tale ipotesi che diventa addirittura centrale, essendo enunciata immediatamente nell’articolo dedicato alla finalità del concordato preventivo, l’articolo 84 che, invece, dedica al concordato liquidatorio solo l’ultimo comma.
Vista la centralità dell’ipotesi della continuazione dell’attività di impresa, anche il Decreto Correttivo del CCII, di cui al D.Lgs. 147/2020 del 26.10.2020, è intervenuto sull’articolo 84 e precisamente sulle definizioni di “continuità aziendale” e di “prevalenza”, per fare maggiore chiarezza sui punti più controversi.
Nel concordato in continuità aziendale, il piano, di cui all’articolo 161, comma 2, lett. e) L.F., deve contenere fra le altre cose anche una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.
Nell’articolo 87 CCII, che descrive i contenuti del piano di concordato, con il Correttivo è stato previsto l’inserimento di un inciso nel primo comma che chiede al debitore di presentare, nel caso di concordato in continuità aziendale, anche il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario.
In sostanza, nella particolare ipotesi del concordato preventivo in continuità aziendale si chiede al debitore di effettuare una valutazione prognostica dei risultati economici e finanziari attesi dalla continuazione dell’attività, in un certo arco temporale, e dalla stessa di desumere quelli che possono essere i flussi finanziari da mettere a disposizione della procedura, costituenti cioè la cosiddetta massa attiva concordataria (eventualmente affiancata dalla cessione e liquidazione di alcuni assets).
Tale valutazione, insieme a tutti gli altri aspetti contenuti nel piano, sarà quindi oggetto di attestazione da parte del professionista incaricato e di valutazione di fattibilità da parte del Commissario Giudiziale nominato.
È palese come tale valutazione prognostica e di conseguenza anche come il giudizio di fattibilità del Commissario siano complessi perché basati su elementi aleatori e oggetto di stime. Unico elemento oggettivo posto a base di tali valutazioni, in genere, è sempre stato il dato storico.
Dallo stesso dato, infatti, era possibile desumere il trend di una serie di importanti elementi economici e finanziari: il fatturato, i margini ottenuti, i tempi di incasso e di pagamento, la rotazione del magazzino, l’ammontare dei costi di struttura, l’incidenza di eventuali costi extra ordinari e delle componenti finanziarie.
Da tali informazioni, tenuto conto di eventuali modifiche previste a livello organizzativo e strutturale, il debitore poteva cercare di costruire un conto economico e un piano finanziario previsionali, anche per un arco temporale pluriennale.
Il commissario giudiziale, dal canto suo, esaminando gli stessi dati storici ed avendo a disposizione le medesime informazioni, con ottica necessariamente prudenziale, avrebbe dovuto esprimere un giudizio circa la fattibilità delle ipotesi formulate, tenendo conto della ragionevolezza e verosimiglianza delle stesse.
La crisi sanitaria che stiamo vivendo, con la conseguente crisi economico finanziaria che ne è scaturita, pone fra le altre cose una forte riserva sulla efficacia della metodologia di elaborazione e quindi anche di valutazione dei piani economici e finanziari, a supporto delle domande di concordato preventivo con continuità aziendale, cui in genere si è fatto ricorso.
Sappiamo come nel corso del 2020, il legislatore sia intervenuto con l’articolo 9 D.L. 23/2020, stabilendo una proroga di sei mesi per i termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati, aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, e prevedendo altresì, nel caso in cui non fosse ancora intervenuta l’omologa, un termine per permettere al debitore di elaborare una nuova proposta che tenesse conto più puntualmente degli effetti della crisi finanziaria in corso ovvero di richiedere unilateralmente al tribunale solo il differimento dei termini di adempimento, dando prova della sua necessità.
Tuttavia, tali misure risultano assai circoscritte e non sono in grado di offrire una soluzione al problema di fondo che si pone: il venir meno di significatività per i classici punti di riferimento posti alla base delle valutazioni prospettiche (dati storici) ed una aleatorietà per i risultati futuri (economici e finanziari) senza precedenti, che va ben oltre l’orizzonte temporale considerato dal legislatore con i provvedimenti emergenziali.
Il dato storico ha perso buona parte della sua valenza, la crisi in atto ha comportato rottura e discontinuità, modifica (forse irreversibile) nelle abitudini e nelle modalità di acquisto, di approvvigionamento, di offerta dei servizi, di distribuzione in svariati settori, sospensione di commesse ed ordini, revisione e dilazione di innumerevoli impegni contrattuali, ecc.
Di fronte a tale situazione, una impresa in crisi che abbia presentato un piano a corredo di una domanda di concordato in continuità aziendale, in corso di valutazione, o che si accinga a farlo, quali strumenti e metodologie può utilizzare per cercare di rendere il proprio piano previsionale ragionevole e “fattibile”?
Il compito è assai arduo.
Da un lato, può essere preso a base di riferimento il dato storico ma molto vicino: ad esempio quello dell’ultimo anno appena trascorso, cercando di interpretare quelli che possono essere gli sviluppi nell’immediato e in un periodo di tempo relativamente breve: l’anno in corso. Si pensi, ad esempio, ad attività di commercio anche al dettaglio: le nuove abitudini di spesa si riflettono già nel dato storico degli ultimi mesi, anche se ovviamente si deve tener conto delle interruzioni delle attività intervenute.
Nel caso in cui sia stata avviata una attività di e commerce per far fronte alle nuove esigenze e ai nuovi limiti posti alla mobilità della clientela, si potrà tener conto del dato storico: anche se l’arco temporale è breve può essere significativo soprattutto in termini di trend e nuove prospettive, magari ipotizzando di ampliare tale canale di vendita.
Dall’altro lato, devono essere considerati i dati oggettivi: ad esempio, nel caso di imprese che lavorano su commesse, dovrà essere considerato il portafoglio ordini acquisito cui abbia fatto seguito l’avvio effettivo delle commesse, essendo di scarso significato il dato storico o un budget previsionale.
A tali dati, che possono aiutare nel brevissimo periodo, devono però necessariamente essere affiancati ulteriori elementi ed interventi, affinché i piani di risanamento possano essere validi ed effettivamente tali: è necessario prevedere nuove condizioni di svolgimento delle operazioni e dei processi aziendali, al fine di andare incontro alle novità più o meno permanenti intervenute.
Forse, in questo frangente, è proprio l’elemento di discontinuità e la capacità di individuare nuove linee di azione, di organizzazione della struttura, di finanziamento, che possono rendere fattibile un piano previsionale, in quanto sì aleatorio ma verosimile.
La credibilità dello stesso sarà tanto più solida quanto più il piano prevederà scenari diversi, con soluzioni diverse, che tengano conto dei rischi probabili e dei loro effetti in termini